7. Quale identità sessuale per le persone disabili?

 

Se Freud qualificava la propria identità unicamente come «ebraica», l’handicappato non può riferirla che alla sua appartenenza al vasto e sconosciuto pianeta dell’handicap, dove il territorio della sessualità è scotomizzato e pertanto invisibile ai normali.

In realtà, l’identità sessuale della persona handicappata ha spesso non soltanto la base biologica «difettosa», ma vengono anche a mancare dei pilastri che possono permettere la costruzione dell’edificio di cui sopra.

Manca soprattutto «l’abilità del costruttore», mancando infatti la capacità di autonomia l’handicappato è costretto a costruire la sua «capanna» contando unicamente sull’aiuto degli Altri.Gli stessi che hanno promulgato le Leggi del Pianeta sul quale viviamo. Nella maggior parte dei casi, quindi, i pilastri non si strutturano affatto. La seduttività femminile, cioè la coscienza delle proprie capacìtà di attrarre una persona dell’altro sesso allo scopo di instaurare una relazione amorosa (non una relazione soltanto sessuale), fragile già in moltissime persone «normali», raramente aiuta la ragazza handicappata, quando non la mette addirittura a rischio d’essere violentata o usata da uomini senza scrupoli. «Se non sono abbastanza bella non sarò mai scelta e nemmeno guardata da un uomo» recita l’Ideale dell’Io interno di ogni adolescente.

L’handicap psichico è spesso accompagnato da un corpo che non rientra nei canoni della bellezza e la ragazza handicappata non può contare sul cinto magico di Venere per sedurre ed attrarre a sé l’uomo dei suoi sogni.

La maternità viene impedita dalla famiglia e dalla società tutta. Come affidare un bimbo ad una madre che non è in grado di prendersene cura e di costituire per lui una base sicura? Il ruolo sociale lavorativo è ugualmente negato anche se esiste una legge che prevede l’inserimento degli handicappati in uffici e fabbriche.

Il maschio, a sua volta, anche se non ha bisogno di essere scelto sulla base dell’avvenenza fisica, in quanto la cultura ha sempre basato la seduttività maschile sull’intelligenza e sul ruolo sociale, ha problemi proprio in questo campo.

L’handicappato, infatti, non ha e non potrà mai avere un ruolo sociale di prestigio o una dialettica in grado di affascinare una donna. Le stesse ragioni addotte per impedire la maternità alla donna valgono per la paternità maschile. Un lavoro non protetto è comunque impedito anche al maschio. Resta la possibilità di attuare rapporti sessuali completi cosa indubbiamente più facile per il maschio che per la femmina. La prostituzione, che risolve problemi di ogni tipo a pagamento è al servizio anche di questa fascia di persone.

Impedito all’uomo un ruolo sociale e lavorativo autonomo, un rapporto sessuale completo e soddisfacente con la compagna dei propri sogni, resa impossibile la paternità, impedita alla donna la seduttività, la maternità nonché il ruolo di moglie o quello sociale lavorativo, da che cosa l’handicappato psichico può ricevere il segnale di piacere, per lui, come per ogni essere umano, sentinella di vita?

Si è sopra accennato che, quando i bisogni psicologici primari non vengono soddisfatti, quando una persona handicappata non ha la possibilità di avere rapporti affettivi, teneri, non può raggiungere né una identità sessuale certa, né una totale autonomia e vengono di conseguenza a mancare l’autostima e 1’autorealizzazione, si strutturano comportamenti difensivi.

Il primo, l’aggressività, rivolta verso i familiari ed in seguito verso i compagni e gli insegnanti, rappresenta non solo la difesa primaria, comune a tutto il genere umano, ma la ribellione ad una condizione difficile e, paradossalmente, la comunicazione sul proprio bisogno di relazione affettiva.

Il secondo, l’esibizionismo, rappresenta una comunicazione sul bisogno di identità sessuale, rivolta agli adulti che se ne prendono cura: ho bisogno che voi vediate i miei genitali per avere la conferma della mia identità sessuale.

L’esibizionismo dell’handicappato psichico, sia esso maschio che femmina, è inoltre ed in parte una regressione. I primati mostrano i genitali non solo come richiesta sessuale, ma come richiesta di amicizia.

Tutti gli adulti, di fronte ad entrambi questi comportamenti si spaventano sia perché viviamo in una società dove l’aggressività del singolo è inibita e considerata un comportamento fortemente negativo (non quella collettiva che si esprime con la guerra!), sia perché tutto quanto riguarda la sfera genitale è considerato sporco e vergognoso, salvo che per le pubblicità!

La nostra cultura, inoltre, è rupofobica oltre che sessuofobica e fobica rispetto ai cattivi odori. Basta pensare all’enorme quantità di deodoranti che vengono consumati, al bisogno coatto di lavarsi che hanno alcune persone, al disagio che viene provato di fronte alla masturbazione del bambino piccolo o dell’handicappato.

Noi viviamo in una società in cui si parla moltissimo, sui settimanali, sui quotidiani, al cinema, alla TV di sessualità: il nudo femminile, e, ultimamente anche maschile, «promuovono» la vendita dei prodotti commerciali più disparati.

 

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